Opere contraffatte, l'imputato:
"Quei quadri li credevo autentici"
“Al mercatino vendevo un pò di tutto. Alcune cose erano originali, altre erano copie. I quadri che mi sono stati dati potevano essere degli originali perchè erano certificati dal Vaticano“. A difendersi dall’accusa di aver contraffatto nove opere d’arte è stato in aula un 69enne residente a Castelleone, antiquario e noto gallerista ambulante che nell’aprile del 2022 avrebbe detenuto e messo in commercio, spacciandoli come autentici, quadri dei pittori italiani Mario Sironi, fra gli iniziatori del movimento artistico del Novecento nel 1922 a Milano, Giuseppe Capogrossi, Riccardo Licata e Giovanni Fattori, quest’ultimo tra i principali esponenti del movimento dei Macchiaioli. Tutte opere in realtà contraffatte. Il 69enne deve anche rispondere di ricettazione per aver ricevuto da un acquirente un dipinto olio su tela raffigurante una “Nobildonna con ventaglio”, rubato il 10 marzo del 2022 al castello di Podenzana, in provincia di Massa Carrara.
A processo c’è anche un 77enne mantovano che avrebbe ceduto al 69enne opere contraffate fatte passare per autentiche. L’antiquario è assistito dall’avvocato Giovanni Pietro Passoni, mentre il 77enne è difeso dall’avvocato Alberto Zucchetti. Oggi entrambi si sono difesi.
Tre anni fa l’ambulante di Castelleone aveva un banco al mercato di Pisa dove esponeva alcune opere, tra cui quelle di Sironi. Un turista, ricercatore universitario, insospettito dalla loro autenticità, aveva chiesto informazioni all’imputato, che gli aveva garantito che le opere erano originali, mostrandogli certificati di autenticità, timbri e firme di periti e di gallerie d’arte. C’era anche un Sironi venduto a 4mila euro. Sul retro, il timbro con la firma del perito che, in apparenza, avrebbe accertato l’autenticità. ‘Claudia Gianferrari’.
Il ricercatore universitario altri non era che un amico del professor Andrea Sironi, esperto nella produzione artistica del pittore, nonchè erede diretto del Maestro e presidente dell’associazione Mario Sironi, fondata con Claudia Gian Ferrari, una delle protagoniste del mondo artistico italiano, scomparsa nel 2010. Le foto dei quadri erano arrivate sul telefonino del professore: “Quel Sironi è un falso talmente evidente da risultare palese anche solo dalla fotografia“, così come “smaccatamente contraffatti” sono il timbro e la firma della gallerista Claudia Gian Ferrari. Sbagliata anche la firma: ‘Gianferrari’ anziché ‘Gian Ferrari’.
Grazie alla segnalazione, erano entrati in azione i carabinieri per la tutela del patrimonio culturale che avevano eseguito delle perquisizioni a Castelleone, sia a casa che nel magazzino del gallerista. Nel magazzino erano stati trovati altri quadri e un vero e proprio kit del “falsario”: undici documenti col timbro dell’Ufficio donazioni del Vaticano, qualcuno già compilato e altri ancora in bianco. Documenti che avrebbero attestato l’autenticità delle opere. Nove sono riconducibili alla macchina da scrivere dell’imputato.
Ai carabinieri, l’ambulante aveva dichiarato che quatto di quei quadri glieli aveva dati il 77enne mantovano. “Sì, gli ho ceduto dei quadri che avevo avuto da mio zio, che faceva l’antiquario a Firenze”, ha spiegato l’imputato. “Erano copie che avevo in cantina, sul retro c’era una etichetta con scritto che si trattava di una copia d’autore“. Il 77enne ha detto di aver comunicato al gallerista castelleonese che erano di copie di poco valore, e di non aver voluto soldi”. Al contrario, il 69enne, che in passato era già finito nei guai per aver falsificato due certificati attraverso delle fotocopie, ha sostenuto di aver pagato i quadri e di aver pensato potessero essere degli originali perchè c’era il certificato del Vaticano. “Si trattava invece di copie d’autore“, per il 77enne, che secondo la difesa non aveva alcuna intenzione di spacciarle per autentiche.
In aula, il gallerista ha poi ammesso di aver messo in vendita un “Sironi” a 4.000 euro. “Si sale sempre con il prezzo”, ha spiegato, “perchè poi si spera di poter mercanteggiare. Un Sironi vero cosa molto di più“. La sentenza sarà pronunciata a febbraio.
Sara Pizzorni