Cronaca

'Cacciava' reperti archeologici col metal detector. Appassionato finisce nei guai

Da sempre appassionato di storia, in particolar modo delle guerre di Indipendenza, la battaglia di Solferino e San Martino, combattuta il 24 giugno 1859 in Lombardia dall’esercito austriaco da un lato e da quello francese e piemontese dall’altro, Massimo Borelli, cremasco, autore di libri, è finito nei guai con la giustizia. Era accusato, insieme al figlio Fabio, di aver effettuato ricerche archeologiche con l’ausilio di un metal detector senza concessione, o comunque di non aver denunciato quanto ritrovato, così come previsto dall’apposita normativa. Padre e figlio erano anche accusati di essersi impossessati di beni culturali appartenenti allo Stato. I fatti sarebbero avvenuti a Ricengo cinque anni fa. Per il primo capo d’accusa, così come chiesto anche dal pm onorario Silvia Manfredi, entrambi sono stati prosciolti per intervenuta prescrizione, mentre per il secondo è stato condannato il solo Massimo ad una pena di tre mesi e 200 euro di multa (il pm aveva chiesto l’assoluzione per Fabio e 4 mesi di condanna per Massimo).

“Nel libro ‘Solferino e San Martino – I residuati raccontano le battaglie’, scritto da Massimo Borelli, si racconta del suo modo ‘singolare’ di raccontare le battaglie: “da quel che resta sul campo”, si legge nella presentazione. “Massimo Borelli”, è scritto, “ha percorso con il metal detector i ridenti campi e vigneti a ridosso del Garda e recuperato quanto basta per descrivere le posizioni dei due schieramenti, l’austriaco e il franco piemontese, individuando le postazioni delle artiglierie, catalogando le varie lapidi dei più illustri Caduti sul campo, raccogliendo palle di cannone, pallettoni, pallottole, capsule di innesco, proiettili e schegge che di tanto in tanto affiorano anche dalla terra scossa dall’aratro o lavata dalla pioggia. Sembra quasi che gli stessi luoghi vogliano tramandarci la memoria di quelle sanguinosissime battaglie che indussero Napoleone III a prendere l’improvvisa decisione di fermare tutto, e chiedere l’armistizio all’imperatore Francesco Giuseppe”.

Ma perchè padre e figlio erano finiti nei guai? Tutto era partito da una lettera anonima inviata alla guardia di finanza nella quale si segnalava che Borelli deteneva materiale a casa sua e che era un ‘tombarolo’. Nell’abitazione del cremasco, la finanza aveva trovato monete, pezzi di giubbe di soldati della battaglia di Solferino e altro materiale, compresi alcuni bottoni che Borelli aveva sostenuto aver acquistato lecitamente in vari mercatini. Secondo una consulenza scientifica si trattava di materiale proveniente da vari siti, comprese alcune monete apparentemente di età romana. “Ciò che è stato trovato”, hanno sostenuto i legali della difesa, gli avvocati Alessandro Asaro e Paola Gerola, “è semplicemente il frutto di 40 anni di acquisti nei mercatini. Tutto lecito. Il nostro cliente è interessato alle guerre di Indipendenza, San Martino, Solferino, ha scritto libri ed era andato a fare delle ricerche”. “È vero”, ha ammesso l’avvocato Asaro, “ha trovato pezzi di fibbia di cintura, pezzi di divise, tutto trovato poco sotto la crosta del territorio e comunque fuori dal cremonese. Certo, non avrebbe dovuto, ma è tutto materiale senza valore, gli serviva solo per ricostruire la battaglia e i posizionamenti dei battaglioni. Tutto il resto si poteva acquistare sui mercatini. Anche quanto è stato trovato in casa del figlio, e cioè tre palle di cannone, e dunque tre bocce di metallo, non aveva alcun valore”.

Sara Pizzorni

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