Ottobre Missionario, l'esperienza
in Mozambico di Diego Pedrini
“Se guardo al passato, mai avrei immaginato che un giorno sarei partito per una missione. Neppure lontanamente”. Inizia così la testimonianza di Diego Pedrini, 32enne di Castelleone che dal 2024 si trova in Mozambico come laico missionario associato alla missione dei Padri della Consolata di Torino.
A raccogliere la sua voce è il portale diocesano www.diocesidicremona.it, in occasione dell’Ottobre Missionario.
“Dopo la laurea in Tecnologie alimentari conseguita a Cremona- racconta – ho subito trovato lavoro e per diversi anni ho svolto la mia professione con serietà e dedizione. Tuttavia, circa tre anni fa, ho cominciato ad avvertire un senso di insoddisfazione: pur avendo raggiunto una certa stabilità e responsabilità, mi sono chiesto se quello che facevo mi realizzasse davvero. La risposta, con onestà, è stata negativa. Così, ho deciso di lasciare il lavoro. Ho trascorso una stagione in montagna, a Madonna di Campiglio, a 2.600 metri, dove ho potuto respirare aria nuova e rallentare il ritmo. Al mio rientro, ho lavorato per un anno e mezzo come idraulico con un amico, aprendo la partita iva. Ma quel vuoto interiore non era scomparso”.
Frequenta così il Monastero di Bose dove incontra un padre missionario della Consolata di Torino, operante in Mozambico. “Lì abbiamo proprio bisogno di un idraulico”, gli dice. Ed è così che da cinque mesi Diego vive a Zumbu, un villaggio situato all’estremo nord-ovest del Mozambico, al confine con la Zambia, sul fiume Zambesi, nella diocesi di Tete.
Ora è impegnato per ristrutturare la casa parrocchiale e la chiesa, la prima già pronta per accogliere gruppi di volontari in accordo con l’Ufficio missionario della Diocesi di Cremona. “Il mio servizio pastorale – afferma Diego – si estende fino a Miruru, una missione fondata dai Gesuiti e disabitata dal 1965, raggiungibile solo addentrandosi nella foresta. Qui opera anche Serafino Piras, un missionario laico italiano che, dopo aver perso la moglie e la figlia, entrambe a causa di un tumore, ha lasciato la sua impresa idraulica in provincia di Milano per dedicarsi interamente alla missione. Vive in Mozambico da 15 anni come volontario. Grazie alla sua instancabile dedizione, ha costruito numerosi ambulatori, scuole e chiese, rendendosi punto di riferimento per tante comunità locali.
“I missionari della Consolata hanno come obiettivo quello di accompagnare le comunità cristiane verso una progressiva autonomia. Il mio servizio si inserisce proprio in questa prospettiva: un lavoro a servizio della diocesi locale. L’auspicio è che, una volta completati i lavori strutturali, possa essere inviato un sacerdote stabile, che viva accanto alla gente e possa garantire la celebrazione quotidiana dell’Eucaristia. È questo il desiderio più grande che le comunità locali custodiscono nel cuore”.
“Il Mozambico è un Paese che, da decenni, vive tensioni e conflitti armati, ma le zone maggiormente colpite da episodi di violenza si trovano a centinaia di chilometri da noi”, afferma a proposito della vita quotidiana. La realtà che sto vivendo a Zumbu è, fortunatamente, serena e tranquilla. Certo, la povertà è diffusa, ma si tratta di una povertà dignitosa: alle persone non manca il necessario per vivere. La loro esistenza è estremamente semplice. Le abitazioni sono costruite con terra battuta (la tipica terra rossa della zona) e sono prive di servizi igienici e di acqua corrente. Alcune famiglie, che stanno lentamente migliorando la loro condizione economica, riescono a costruire la propria casa in mattoni, ma restano comunque in una situazione di estrema essenzialità”.
A colpirlo di più è “l’altruismo di questa gente. Sono persone di grande generosità: se hanno qualcosa, lo condividono. Nessuno trattiene solo per sé. Da quando sono arrivato, ogni giorno ricevo qualche dono: chi mi porta pomodori, chi patate… quotidianamente qualcuno si presenta con qualcosa da offrire. Quello che mi ha profondamente colpito è un gesto semplice, ma carico di significato: quando le persone danno o ricevono del denaro, porgono i soldi con una mano e con l’altra accompagnano il braccio fino a te. È come se dicessero: “Tieni, ciò che ti do, te lo dono con tutto me stesso”.
Un’esperienza che può indicare una strada anche a tanti giovani in cerca di qualcosa di più dalla vita: “A loro direi di prendersi una pausa di almeno un anno attorno ai vent’anni. Un anno per fermarsi, per staccarsi dallo studio e dal lavoro e dedicarsi agli altri. Che sia una missione, il servizio civile o un’esperienza in un’associazione o gruppo: l’importante è uscire dalla propria casa, dalla propria famiglia, dal proprio paese, per offrire il proprio tempo a chi ha bisogno”.