Cronaca

Abusi su cinque pazienti: tre anni
in Appello a medico del lavoro

Riformata in Appello la sentenza di primo grado inflitta a Cremona nell’ottobre dell’anno scorso nei confronti di un medico del lavoro di 64 anni libanese residente a Bergamo, iscritto all’Ordine di Genova, accusato di violenza sessuale.

La pena del primo giudizio, di 5 anni e 4 mesi, è stata ridotta a tre anni, con l’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici. Confermata integralmente la condanna a risarcire le parti civili con somme dai 5.000 ai 10.000 euro. 

Anche per i giudici di Brescia, dunque, il professionista, processato con il rito abbreviato, aveva costretto cinque donne a subire atti sessuali approfittando del fatto di trovarsi da solo con loro all’interno di uno studio medico di un centro di medicina e salute di Crema.

Ad accusare il 64enne, che è ancora ai domiciliari, cinque donne (due risiedono nel Milanese, due nel Cremonese, una a Cremona), parti civili attraverso gli avvocati Simona Bracchi, Luisa Sangiovanni e Angela Ceriani. “Giustizia è fatta“, hanno commentato i difensori dopo la lettura della sentenza.

“In violazione dei doveri inerenti al pubblico servizio e con abuso dei poteri sottesi al proprio ruolo professionale di medico di lavoro”, deputato ad effettuare periodiche visite di controllo e di idoneità all’attività lavorativa, con la scusa di misurare la pressione, aveva appoggiato le sue parti intime contro le mani delle vittime, poi le aveva fatte sdraiare e le aveva palpeggiate sui seni, sui glutei, oppure toccate sulla schiena o sull’inguine. Le donne, che tranne due non si conoscevano, erano state visitate una il 22 gennaio del 2023, mentre le altre una settimana dopo. Erano tutte dipendenti di un’impresa di pulizie.

Gli avvocati Bracchi, Ceriani e Sangiovanni

All’epoca il gip di Cremona aveva ritenuto di “piena credibilità” la versione dei fatti prospettata dalle cinque accusatrici, “in modo coerente, dettagliato e privo di contraddizioni, descrivendo in modo omogeneo i toccamenti e i palpeggiamenti che si ripetevano in modo pressochè identico in tutti i casi. Nè risulta che le vittime avessero pregressa conoscenza del medico, sicchè è evidente l’insussistenza dei motivi che le abbiano indotte a riferire cose non vere”. “L’impianto accusatorio  ha retto“, hanno dichiarato, soddisfatti, i legali di parte civile. Per l’imputato, il procuratore generale aveva chiesto la conferma della condanna di primo grado.

La difesa, rappresentata dall’avvocato Carlo Luppino, ha invece sostenuto che le donne si conoscevano e che avrebbero ideato un “complotto” ai danni del medico a fini economici. L’imputato, accompagnato dalla moglie, era presente, e ha reso dichiarazioni spontanee, dicendo le cinque donne si erano messe d’accordo per accusarlo, chiedendo che venissero controllati i contatti telefonici delle pazienti. “Richiesta tardiva e irrilevante“, per il procuratore generale. I giudici hanno creduto alle vittime.

Sara Pizzorni

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