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‘Aperitivo ad alta quota’:
il Mera Peak di Filippo Ruffoni

Ci teneva Filippo Ruffoni, 38enne scalatore montodinese a salutare amici e realtà del territorio che lo seguono nelle sue avventure d’alta quota, per descrivere cosa si prova a orientare lo sguardo verso l’orizzonte degli oltre 6mila metri di altitudine, tra aneddoti, curiosità, colori, racconti.

È quello che ha fatto l’altra sera alla Trattoria La Rosa Gialla di Ripalta Cremasca, introducendo l’incontro dal titolo “Aperitivo in quota” con i ringraziamenti ai rappresentanti del Rotary Club Pandino Visconteo, del C.A.I. Crema, e ricordando il Conte Leonardo Bonzi, che nel 1954 ha contribuito con un cartografo a consentire la salita al K2. Il Mera Peak, ultima conquista di Ruffoni, che ha portato sui 6476 metri della vetta himalayana i gagliardetti del Rotary Visconteo e del Panathlon Crema, tecnicamente è una salita classificata come “facile”, ma importante perché consente di permettere di sperimentare la reazione del corpo all’alta quota.

Si tratta di una montagna inserita nel Parco Nazionale nepalese Makalu-Barun, che però presenta alcune insidie, come quelle verso l’ascesa al primo campo base situato a poco meno di 5000 metri, e poi nella salita verso la cima.

Scorrendo le numerose foto, testimonianza di questa straordinaria esperienza non solo sportiva, prima di arrivare a quelle uniche dell’alba dei 6476 metri, non poteva mancare il riferimento al mitico aeroporto Tenzing-Hillary di Lukla, chiamato così in onore dei primi due scalatori dell’Everest, e che si trova a circa mezz’ora di volo dalla capitale nepalese Kathmandu.

Con i suoi 2800 metri l’aeroporto di Lukla è considerato il più pericoloso del mondo, perché la sua posizione condiziona atterraggi e decolli, ubicato com’è su un terreno in forte pendenza, con la pista lunga poco più di 500 metri, che termina su un precipizio, motivo per cui possono atterrare e decollare solo piccoli aerei: già questa, esperienza, nell’esperienza per Ruffoni, che da bambino pareva poco attratto dalla montagna nelle esperienze con la parrocchia, e che ora è il cremasco che ha raggiunto le vette più alte al mondo, con prospettive di ulteriore crescita.

Proseguendo nel racconto, da Lukla al campo base sono necessari 9 giorni di cammino, superando due passi tra salite e discese, con un itinerario che consente di visitare i monasteri buddisti e conoscere la realtà della popolazione sherpa.

Filippo nel suo racconto descrive la salita affrontata con i compagni di viaggio russi del Team Elbrus, l’esperienza nei lodge, semplici strutture a conduzione famigliare che ricordano i rifugi alpini, e che consentono agli scalatori di dormire e avere tè e pasti caldi, ma parla anche del contatto con la  popolazione nepalese, che si rivolge alla montagna come se fosse una divinità, del vero ginseng di montagna e di tanto altro: “Lungo il cammino si attraversano i villaggi e la parola d’ordine è adattarsi”, dice Ruffoni, che si sofferma sugli scatti che immortalano la suggestiva immagine dell’alba in quota e delle nuvole, perché, “sul Mera Peak, come sul resto delle montagne dell’Himalaya si percepisce la linea della nuvole”, aggiunge lo scalatore montodinese.

Fondamentale nella salita verso i campi alti, il supporto dei “portatori” abituati alla quota, ma a differenza delle cime africane riferisce Ruffoni, in quelle himalayane si riesce a trovare cibo e bevande, come evidenziato anche in precedenza, anche se dal racconto emerge qualche episodio degenerativo, anche nel turismo d’alta quota, soprattutto per certe richieste di menù personalizzati, soprattutto da alcune spedizioni anglosassoni.

Alla serata ha partecipato anche Padre Anthony RajuThota, amico dello scalatore e missionario in India, oltre che conoscitore della realtà nepalese. Padre Anthony si è complimentato con Ruffoni per i risultati raggiunti, ed ha parlato dei suoi 15 anni di attività in India, dalle varie caste, all’esperienza con i lebbrosi.

Ilario Grazioso

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