Tratta di esseri umani: l'Appello
conferma condanna a sette anni
Imputati due fratelli nigeriani
I giudici della Corte d’Assise d’Appello di Brescia hanno confermato la condanna inflitta in primo grado dal tribunale di Cremona il 22 ottobre dell’anno scorso nei confronti di due nigeriani, fratello e sorella, accusati di tratta di esseri umani e condannati a 7 anni e 3 mesi ciascuno. L’uomo, 36 anni, ex magazziniere in una ditta cremasca, e la sorella, 38 anni, donna delle pulizie, erano difesi dagli avvocati Alessandro Zontini e Michela Tomasoni. Attualmente entrambi gli imputati sono irreperibili.
Nove anni fa una giovane connazionale, all’epoca di 19 anni, era stata fatta arrivare in Italia dalla Nigeria con la promessa di un lavoro come baby sitter. Una volta sbarcata a Lampedusa, però, era stata portata a Crema e lì i suoi sogni di una vita migliore si erano subito infranti. Il suo incubo è durato un anno. La giovane, oggi 28enne, è stata vittima degli imputati, che l’avevano costretta a prostituirsi lungo le strade di Spino d’Adda, minacciandola e dicendole che la sua libertà costava 35.000 euro, soldi che si sarebbe dovuta procurare vendendo il proprio corpo. Altrimenti i suoi familiari in Nigeria sarebbero stati uccisi. Per la connazionale che l’avrebbe ospitata, la ragazza si era sottoposta in Nigeria ad un rito davanti a un santone: una sorta di giuramento di fedeltà.

La 19enne era stata percossa ripetutamente anche con un manico di scopa, privata spesso di cibo per renderla più accondiscendente ai loro voleri e sottoposta a trattamenti umilianti. Fratello e sorella, che l’avevano anche fatta prostituire in una casa, avevano approfittato della situazione di necessità, vulnerabilità e soggezione in cui la vittima versava.
Era stata la stessa 27enne, in aula a Cremona, a raccontare il suo incubo. “Dicevano che non c’erano abbastanza soldi. Mi controllavano, mi davano un certo numero di preservativi e quando tornavo facevano il conto di quanti me n’erano rimasti e così sapevano quanti clienti avevo avuto. I soldi li consegnavo a loro. Per me riuscivo a tenermi qualche mancia”. “Mi dovevo prostituire tutti i giorni”, aveva riferito la ragazza, “dalle 8 alle 18, a volte fino alle 20. Spesso, quando mi ribellavo, venivo picchiata, soprattutto dalla donna, anche con un manico di scopa”. La vittima aveva anche detto che gli imputati l’avevano lasciata senza cibo e fatta dormire su un materasso in soggiorno che d’inverno era ghiacciato “perché lo tenevano sul balcone e poi lo ritiravano”.

Un giorno, mentre si prostituiva, la giovane aveva conosciuto un uomo che le aveva offerto il suo aiuto. E lei ne aveva approfittato, lasciando per sempre la casa dove viveva con gli imputati. Nel luglio del 2016, grazie all’aiuto del connazionale, si era presentata negli uffici del Commissariato di Crema dove aveva raccontato la sua incredibile storia. I due fratelli erano poi stati rintracciati e messi a disposizione dell’autorità giudiziaria.
Gli imputati si erano difesi, negando ogni coinvolgimento. Il 36enne aveva raccontato di aver conosciuto la vittima su facebook e di essene diventato il compagno. Poi però lei lo aveva lasciato. “All’epoca io e mia sorella chiedevamo l’elemosina perchè non avevamo un lavoro”, aveva sostenuto il 36enne, riferendo che la ragazza si sarebbe prostituita di sua spontanea volontà”.
Sara Pizzorni