Padre Maccalli: “Mi sono
sentito vittima innocente"
Padre Gigi Maccalli, missionario della Società delle Missioni Africane, vittima in Niger di un rapimento da parte di estremisti islamici durato per lui due anni e qualche settimana, ha raccontato la sua storia nella serata di mercoledì 19 aprile a Casirate d’Adda, su invito di don Matteo Pini, parroco dell’unità pastorale di Arzago e Casirate.
Pieno di gente, per l’occasione, il salone dell’oratorio San Marco dove padre Maccalli ha parlato per più di un’ora. “Sono stato portato via in moto – ha esordito – il 17 settembre 2018 e in moto, nelle prime due settimane di prigionia, con i miei rapitori ho attraversato posti impervi, fino ad arrivare in un covo nel deserto, pieno di gente armata. Il 5 ottobre uno dei miei carcerieri mi si è avvicinato con una catena in ferro e me l’ha messa a una caviglia. Per ventidue giorni sono rimasto incatenato ad un albero ed è stato un momento molto duro nel quale mi sono sentito vittima innocente, abbandonata da Dio e da tutti”.
Per la verità in catene il missionario cremasco è rimasto per buona parte dei due anni di durata del suo sequestro. A un certo punto gli erano state tolte, ma gliele hanno rimesse a seguito del tentativo di fuga (vano) di uno dei suoi compagni di prigionia. Però qualcosa in padre Gigi in quel momento è scattato.
“Una sera – ha proseguito – mi sono detto che i miei piedi erano incatenati, ma il mio cuore no e la vera icona delle missioni è il cuore. Ho pensato alle parole di Santa Teresa di Lisieux e quelle catene sono diventate per me catene di libertà. Ci ho messo del tempo ma alla fine ho detto: Padre perdona queste persone. Questa preghiera mi ha dato pace, mi ha fatto sentire libero”.
Solo in mezzo al deserto, nei giorni che sembravano infiniti, padre Maccalli si è convinto di una cosa: “Ciò che rende più bella la vita – ha sottolineato – è la relazione. Noi siamo relazione. Una vita piena lo è perché è una vita di relazione. Mi mancava poter comunicare”.
Il missionario ha concluso il suo intervento spiegando che cosa sia cambiato in lui a seguito di questa drammatica esperienza: “Sono tornato con uno sguardo diverso sulla vita, sulle missioni e su Dio stesso. Questo Dio onnipotente dell’Antico Testamento non è venuto a liberarmi, ma è rimasto con me il Dio della croce, il Dio del silenzio. Come missionario in Africa ho annunciato il Dio della Parola, ma ora sono più orientato a vederlo come il Dio del silenzio. E oggi è guardando il crocifisso che vedo l’immagine di Dio. Lui ha trasformato questa storia, che pensavo fosse una sventura, in una benedizione. Ho perdonato i miei rapitori, verso i quali non ho mai provato odio, e sono convinto che oggi più di ieri la risoluzione dei conflitti passi attraverso una mano tesa”.
Diverse le domande poste dal pubblico a padre Maccalli, che rispondendo ha avuto modo anche di descrivere l’incontro con papa Francesco subito dopo la sua liberazione: “L’ho sentito vicino e attento – ha detto –, mi sono sentito sostenuto e abbracciato. Dico un grazie a lui, ma anche ai tanti che, ho saputo all’indomani della mia liberazione, hanno costantemente pregato per me in quei due anni”.
Profilo di padre Maccalli
Pier Luigi Maccalli, nato a Madignano (Cremona) nel 1961, frequenta il seminario vescovile di Crema, dove è ordinato prete nel 1985. Diventa poi membro della Società delle Missioni Africane (Sma), fondata nel 1856 dal vescovo francese mons. Melchior de Marion Brésillac. È per dieci anni missionario in Costa d’Avorio e per un altro decennio animatore missionario e formatore in Italia. Nel 2007 viene inviato nel sud-ovest del Niger, nella parrocchia di Bomoanga. Il 17 settembre 2018 è stato sequestrato dai jihadisti del Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim) e tenuto ostaggio fino alla liberazione, avvenuta l’8 ottobre 2020.