Violenza sessuale: il Dna non
basta. Assolto a 12 anni dai fatti
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Non ci sono prove oltre ogni ragionevole dubbio che Alfred, 44 anni, muratore albanese residente in provincia di Como, abbia violentato e rapinato, la notte del 9 luglio del 2010 a Vaiano Cremasco, la prostituta romena Silvia Roxana, 17 anni all’epoca dei fatti. Non è stata considerata sufficiente dai giudici la compatibilità tra il Dna dei campioni biologici dell’imputato e il materiale genetico estrapolato dai fazzoletti trovati sul luogo dove era stato commesso il fatto.
In primo luogo non è stato possibile estrarre il profilo genetico contenuto nei vetrini composti a seguito del tampone e rapportarlo al Dna dell’imputato, in quanto i vetrini, custoditi alla clinica Mangiagalli, dopo cinque anni sono stati distrutti, così come da norma. In più la vittima non ha mai testimoniato: di lei si erano perse le tracce, e dopo le ricerche si è scoperto che è deceduta.
Ma c’è di più: come ha ricordato l’avvocato della difesa Gianantonio Testa, del foro di Como, a suo tempo la donna aveva effettuato una descrizione del suo aggressore, ricordando un tatuaggio sul braccio sinistro raffigurante due idiomi cinesi sovrapposti. Ma l’imputato, di tatuaggi non ne ha. Lo ha dimostrato oggi in aula, togliendosi gli indumenti e restando a torso nudo davanti ai giudici. Anche la descrizione della macchina non è risultata compatibile in ogni suo aspetto.
L’imputato è quindi stato assolto “per non aver commesso il fatto”. Il pm Vitina Pinto, nonostante l’ammissione della lacuna sulla mancanza degli esami del tampone, aveva comunque chiesto una pena di sette anni, ritenendo gli indizi emersi a processo “precisi e concordanti”. “Indizi, che”, per il pm, “non inducono ad altre alternative logiche e ragionevoli se non alla violenza sessuale e alla rapina”.
L’imputato, sposato con due figli, residente in provincia di Como, non ha mai negato di aver avuto rapporti sessuali con delle prostitute. “Sì, nel 2010 frequentavo il territorio cremasco”, aveva ammesso il 44enne, “e mi è capitato di avere rapporti con delle prostitute, ma è sempre stato consensuale. Non ho mai violentato, nè picchiato nessuno”.
Quella notte i carabinieri, in seguito ad una telefonata, avevano trovato Silvia con il volto tumefatto. La donna stava esercitando nella zona industriale di Vaiano Cremasco. Era stata assalita alle spalle, picchiata e caricata su una Volkswagen Passat grigia, dopodichè era stata portata a Gradella di Pandino dove era stata violentata. Una volta soccorsa era stata accompagnata all’ospedale di Crema e poi alla clinica Mangiagalli di Milano, dove per cinque anni sono stati custoditi i tamponi effettuati al momento della visita.
Durante le indagini, i militari, che avevano percorso il tratto di strada dove la donna si prostituiva, avevano trovato la sua borsetta, le sue ciabatte, i suoi orecchini e tre fazzoletti di carta che erano stati inviati ai carabinieri del Ris di Parma per essere analizzati. Proprio su quei tre fazzoletti, utilizzando delle speciali lampade forensi, erano state trovate tracce biologiche dalle quali si era proceduto ad estrarre il Dna. Ne era uscito un profilo genetico “chiaro, identificativo, riferibile ad un soggetto ignoto maschile”. Dalla successiva ricerca nel database interno era emerso che quel profilo era già presente negli archivi per via di un altro caso di violenza sessuale commesso nel 2009 a Cinisello Balsamo sempre ai danni di una prostituta.
Nel 2012, dopo aver ottenuto il profilo genetico ignoto, i carabinieri del Ris avevano inviato i reperti alla Banca dati del ministero dell’Interno per una comparazione del codice genetico. Otto anni dopo, nel 2020, era arrivata la comunicazione che l’esame del Dna estrapolato dai fazzoletti aveva portato ad un nome: quello di Alfred, che nel 2017 era finito in carcere. In quell’occasione gli era stato prelevato il Dna, risultato compatibile con il profilo estrapolato dai fazzoletti. Ma non è stato sufficiente per arrivare ad una condanna.
Sara Pizzorni