Cronaca

Giornata Memoria: un ponte generazionale tra Riccardo Goruppi e gli studenti

Gli studenti presenti in aula magna e, a destra Riccardo Goruppi

“I Giovani sanno ascoltare, bisogna però che qualcuno parli con loro”. Ha concluso così il proprio intervento in aula magna all’università Riccardo Goruppi. Una ‘lezione’ di due ore, alla quale hanno assistito gli studenti delle scuole superiori cittadine, raccontando la terribile esperienza da deportato sotto il regime nazista.

Nato nel 1927 in una famiglia italiana di lingua slovena a Prosecco, sul Carso triestino, in un’Italia fascista che impone di italianizzare i nomi. Arrestato nel 1944 insieme al padre, che morirà in deportazione, Goruppi ha portato la propria intensa e sofferta testimonianza di combattente e di sopravvissuto ai campi di concentramento di Dachau, Leonberg, Mühldorf e Kaufering.

Particolarmente commovente il racconto di come ha visto morire il proprio padre: “Ci avevano separati per un solo numero, io avevo il turno di lavoro di giorno, lui di notte. Ci siamo incrociati di nuovo durante la disinfezione”. In attesa di riavere indietro i vestiti stracciati, ma puliti, i deportati hanno atteso ore, nudi, al freddo. “Il mio povero papà ha preso la polmonite. Me lo sono caricato in spalla, dopo aver ottenuto il permesso dal kapò, e l’ho portato in quella che potremmo definire un’infermeria. Lungo il tragitto mi ha detto poche parole: ‘Uno di noi due deve tornare a casa. Non sarò io, ma tu, tu devi tornare'”. Il padre di Riccardo è morto il giorno seguente e buttato in una fossa comune, senza che lui potesse dirgli addio. “Non mi sono salvato perché ero il più furbo o il più intelligente – ha spiegato agli studenti – ho solo avuto tanta fortuna”.

Uno dei ragazzi in aula gli chiede come e quando abbia trovato il coraggio di parlare. “Non è stato facile. Quando ci hanno liberati non ricordavo neppure chi fossi, la mia mente non funzionava. Molti storici ci chiedevano di parlare di quanto avevamo vissuto, ma nessuno di loro ci ascoltava davvero. Poi – ha proseguito con voce più leggera – degli storici giovani, con la mente aperta al mondo, ci hanno scavato nel profondo, ma con un rispetto e una sensibilità tanto forti da riuscire ad aprirci”.

Un messaggio che crea un ponte intergenerazionale attualissimo, che ha colpito gli studenti, quasi spiazzandoli da tanta amicizia gratuita, scevra dalle critiche che solitamente arrivano dal mondo degli adulti. “Si dice tanto che i giovani non vogliono capire e non sono interessati a nulla. Non è vero. La verità è che chi ha sofferto non spiega loro, con chiarezza, senza odiare, certo non possono sapere. Solo spiegando, dimostrando di avere un colloquio vero e proprio con loro, una discussione, si chiariscono le cose. Solo così si apre il cuore dei giovani”.

Gli incontri, che hanno visto Riccardo girare per la provincia di Cremona nell’ultima settimana, parlando ad oltre 1.500 ragazzi, sono stati introdotti e coordinati da Ilde Bottoli, referente storico-scientifico della Rete.

AmBel

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