Cronaca

‘Stop ai luoghi comuni, i profughi
non tolgono risorse agli italiani’

Manifestazione pubblica lunedì sera a Chieve, nella quale il sindaco, Davide Bettinelli, ha spiegato l’evoluzione della vicenda dell’accoglienza ai profughi da parte di un privato cittadino nello stabile di proprietà, situazione che ha scosso non solo gli altri residenti e i commercianti che hanno attvità nello stabile, ma l’intero paese cremasco. L’accordo per l’accoglienza è stato condotto direttamente tra Prefettura e privato, dopo che erano caduti nel vuoto gli appelli del  rappresentante del Governo per la messa a disposizione di strutture da parte degli enti locali. In piazza, anche il consigliere regionale della Lega Nord Federico Lena. Mercoledì sera previsto un consiglio comunale aperto.

Il caso di Chieve è l’esempio di come restino tantissimi i problemi irrisolti del sistema di accoglienza profughi sul territorio. Un punto di vista diverso da quello della strumentalizzazione politica  è quello di chi opera concretamente nell’accoglienza, scontrandosi con un sistema normativo complicato e contraddittorio. Ecco la testimonianza molto pragmatica di Rosana Ciceri, rappresentante dell’associazione  ‘Immigrati cittadini onlus’.

“Mentre nello stivale – inizia il documento dell’associazione –  si alternano forme più o meno civili di protesta, ben cavalcate politicamente (ma succede ovunque: lo fanno anche in Francia e altri paesi) il 20 luglio è scaduto il termine di recepimento delle due Direttive EU 32 (procedure e revoca dello status) e 33 ( accoglienza) del 2013, ed è pronto il decreto legislativo che le applica. Questione di giorni. Da questo momento esiste un obbligo preciso e regolamentato per tutti gli stati dell’Unione: garantire uno standard di accoglienza uniforme per i richiedenti asilo. L’accoglienza non è un optional, ma un adempimento preciso: oltre al dovere di salvare vite in mare, vi è quello di accogliere i richiedenti la protezione internazionale nei modi e tempi fissati dalle direttive e con il sostegno dei fondi che annualmente sono messi a disposizione dagli stati, con un consistente contributo dell’UE. Certamente non tutti i cittadini, compresi gli stranieri residenti, sono al corrente di tali obblighi, non condividono le scelte e neppure accettano di volerne conoscere le ragioni, e considerano i rifugiati solo dei competitori sul piano della divisione delle risorse, considerate già scarse. La solidarietà che pure è un grande valore si scontra con la realtà locale. Comprensibile, ma non giustificabile. Il fatto è che non abbiamo scelta: l’asilo è un diritto soggettivo, è nella Costituzione e in tutti i trattati che abbiamo volontariamente recepito a varie riprese. Poi possiamo discutere se tutti i profughi hanno realmente diritto alla protezione, ma non siamo noi a stabilirlo con i picchetti nelle strade o gli slogan, lo devono fare le Commissioni Territoriali che sono state moltiplicate dallo scorso anno proprio per venire incontro alla verifica delle richieste in base alle Direttive.

Ricordiamo che i tipi di protezione sono tre, e che un rifiuto dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra, non significa affatto nessuna forma di protezione: se guardiamo i dati del 2014, abbiamo una percentuale di circa il 50% di riconoscimento di una forma di protezione. La stessa idea di “paese sicuro” o a rischio è spesso fluttuante, e deve essere aggiornata anno per anno, per cui i maliani ad esempio nel 2013 hanno potuto godere della protezione sussidiaria.

Molto in breve le principali novità ai fini pratici sono: il rilascio di un permesso di sei mesi e non più solo tre, per richiesta asilo; la possibilità di lavorare dopo due mesi (prima sei) fino alla risposta della Commissione Territoriale o all’esito di un eventuale ricorso, regole più stringenti per i trattenimenti e il controllo dei richiedenti asilo; altrettante per la revoca dello status; l’obbligo di garantire standard uniformi per il sistema di accoglienza, e con chiare garanzie per minori e categorie “vulnerabili” e che dovrà essere “integrato” e meglio regolamentato, con la previsione di far confluire tutto nello SPRAR, ovvero il Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati. Tra l’altro le persone indigenti ammesse all’accoglienza non possono ricevere alcuna forma di sostegno economico diretto ma solo servizi, e a condizione di accettare le regole dei centri”.

SMENTIAMO ALCUNI LUOGHI COMUNI – “Smentiamo – continua l’associazione –  poi la favola dei Comuni che sperperano risorse dei cittadini: certo l’organizzazione del sistema di accoglienza è sempre migliorabile, molta strada è da fare, bisogna adeguare il coordinamento tra enti. Già previsti i tavoli nazionali e i coordinamenti regionali, uno già attivo a Milano. I Comuni che hanno aderito allo Sprar possono gestire i progetti di accoglienza, ma solo con fondi nazionali di derivazione comunitaria. Infine, per dirla in concreto è privo di fondamento affermare che i profughi tolgono le case ai residenti. Se anche da domani tutti i profughi sparissero – e ne saremmo contenti, se ciò fosse dovuto alla fine dei conflitti – le graduatorie per l’assegnazione delle case non cambierebbero di una virgola. Semmai è augurabile che finalmente si avviasse un serio lavoro di mediazione sociale, di seria informazione, che si parlasse alla testa e non alla pancia dei cittadini. I quartieri vanno ascoltati, si deve fare un grosso lavoro preventivo, poiché se per far fronte a un’emergenza gli enti sono costretti a trovare soluzioni nel giro di pochi giorni, è normale che la gente capisca poco e accetti ancor meno. Certo emerge un dubbio: ma se a Picenengo fossero arrivate 4 famiglie di rifugiati ucraini, biondi econ gli occhi azzurri – poi per carità quasi europei – ci sarebbe stato lo stesso bivacco di protesta dei giorni scorsi? Per chi non lo sapesse anche a Cremona sono state inoltrate molte domande di protezione da parte di ucraini che vivono imboscati. Non si sa mai di questi tempi….”.

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