Cronaca

Il vescovo “Date ai musulmani
un luogo di preghiera”

In prima pagina, il vescovo di Crema, monsignor Oscar Cantoni

Qui sopra, il palazzo vescovile di Crema

CREMA – Oggi il vescovo di Crema, sua eccellenza Oscar Cantoni, scrive una lettera ai fedeli, ricordando quanto già espresso nell’ottobre del 2012, in un’altra lettera nella quale si faceva presente la disponibilità al dialogo interreligioso e l’adesione alla richiesta di un luogo di culto per i musulmani, al di là delle discussioni prettamente politiche sulle quali non entra in merito. “Non è mio compito offrire una risposta politica sul tema dell’accoglienza dei Musulmani e sui luoghi di culto – scrive il vescovo, – in quanto è di competenza delle autorità civili, che faranno riferimento alle attuali legislazioni. Ritengo che un luogo di preghiera debba essere riconosciuto per non restare solo sul piano teorico. A riguardo del dialogo interreligioso, in particolare con i credenti dell’Islam, ho già espresso con chiarezza un preciso orientamento, in piena sintonia con l’attuale insegnamento magisteriale della Chiesa mediante un testo che ha offerto motivi di riflessione, già nel 2012, e che oggi è aperto a nuovi ulteriori approfondimenti”.

Ecco il testo completo della lettera del vescovo.

OLTRE I MURI
Sul dialogo ecumenico e interreligioso

Di ritorno da una preghiera ecumenica in una nostra parrocchia, nella settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, rifletto sulla reale fatica, che non è tolta a nessuno di noi, di riconoscere le ricchezze e la fecondità delle altre Chiese cristiane, sulle persistenti prevenzioni, dovute a un retaggio della storia, nei confronti di tradizioni religiose diverse dalla nostra. Considero quanta apertura mentale e di cuore, quanta continua “conversione” sia necessaria per accettare che lo Spirito Santo possa offrirci nuovi motivi di vita proprio attraverso le ricchezze di fede che provengono dai nostri fratelli separati.

I giovani sono i primi a sollecitare le diverse Chiese cristiane a fare passi in avanti verso la piena comunione, tuttavia anch’essi riconoscono di non conoscere bene ciò che ancora ci separa da ciò che, invece, ci accomuna e come sia possibile giungere all’unità attraverso la diversità. Per crescere nella conoscenza reciproca occorre tornare ai fondamenti della propria fede.

Se queste nostre precomprensioni sono ancora presenti nei confronti delle altre confessioni cristiane, dobbiamo ammettere quanto sia più difficile e arduo il dialogo interreligioso, l’accoglienza e l’ascolto di quanti professano Dio fuori dalla tradizione cristiana. Già il Concilio Vaticano II, nel documento “Nostra aetate”, al n.2, ci ha richiamato a un “rispetto profondo e duraturo per le altre religioni”, accomunate dal “desiderio di sapienza, di verità e di santità”.

Una certa resistenza, più emotiva che razionale, un clima di paura, derivato e giustificato in parte anche dai recenti atti terroristici che hanno insanguinato la Francia e non solo, ci porta a considerare gli immigrati, i membri di religioni diverse, soprattutto i Musulmani, presenti sul nostro territorio, come persone da cui difendersi o da cui salvaguardarsi, prima ancora che fratelli da accogliere e riconoscere nella loro dignità.

Ne è prova l’accentuato clima di tensione che sta vivendo in questo periodo l’intera società, compreso il nostro ambiente cremasco, che si interroga su quali siano le regole per una accoglienza leale di questi nostri ospiti, nel rispetto delle nostre tradizioni cristiane e nelle stesso tempo della tradizione islamica. I cristiani stessi stanno dibattendo a lungo su questo importante tema. So che i pareri sono discordi, anche nella nostra comunità ecclesiale, offrendo ciascuno motivazioni comprensibili, che spesso però sottendono una sfiducia nella accettazione della diversità dell’altro. Tali focosi dibattiti generano a volte anche lo svilupparsi di sottili divisioni interne, che alla fine

fanno il buon gioco del diavolo, il quale non cerca altro che le nostre divisioni. Le molte espressioni di ammirazione con cui viene presentato Papa Francesco perdono subito consistenza quando il suo insegnamento sul tema, più volte sottolineato, in contesti diversi, vanno al di là delle certezze a cui si è attaccati. Cito fra i tanti, il suo discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica del 24 gennaio scorso, dove il Papa afferma che “se si parte dal presupposto della comune appartenenza alla natura umana, si possono superare i pregiudizi e le falsità e si può iniziare a comprendere l’altro in una prospettiva nuova”.

Voglio sottolineare, inoltre, che la nostra comunità ecclesiale, al di là di molti luoghi comuni, ha avviato significative forme di dialogo e di accoglienza, in piena gratuità. Ne è prova la presenza di ragazzi musulmani ai grest delle nostre parrocchie, il servizio generoso della Caritas a quanti chiedono aiuto, indipendentemente dalla religione professata, l’assistenza del nostro Consultorio familiare alle donne straniere in difficoltà: tutti segni questi che dicono concretamente che l’atteggiamento non è di chiusura o di indisponibilità.

Non è mio compito offrire una risposta politica sul tema dell’accoglienza dei Musulmani e sui luoghi di culto, in quanto è di competenza delle autorità civili, che faranno riferimento alle attuali legislazioni. Ritengo che un luogo di preghiera debba essere riconosciuto per non restare solo sul piano teorico. A riguardo del dialogo interreligioso, in particolare con i credenti dell’Islam, ho già espresso con chiarezza un preciso orientamento, in piena sintonia con l’attuale insegnamento magisteriale della Chiesa mediante un testo che ha offerto motivi di riflessione, già nel 2012, e che oggi è aperto a nuovi ulteriori approfondimenti.

Il rispetto e la stima per le altre religioni non sminuisce la consapevolezza che esse non sono tutte eguali: un fraintendimento simile non è lontano da una certa mentalità superficiale di tante persone, che giustifica un facile irenismo. Per affrontare e conoscere le originalità di ciascuna religione è necessario che si sviluppi un dialogo sincero, al di là dei pregiudizi, un approfondimento a partire dalla coscienza della identità di ciascuno, mediante una presentazione piena e schietta delle proprie rispettive convinzioni più profonde. Il dialogo fa risaltare quanto siano diverse le nostre credenze, le tradizioni e le pratiche: esso ci obbliga, nello stesso tempo, a comprendere le identità e i valori degli altri, ma anche a far emergere quelli comuni.

Non diamo per scontato che è impossibile vivere in armonia con quanti provengono da altre culture e religioni. Senza per nulla sminuire la ricchezza e la fecondità della nostra fede cristiana, dovremmo considerare come in una

società secolarizzata quale è la nostra, dove la tendenza prevalente è quella di relegare la religione a un fatto privato e, molto di più, dove si è portati a credere che l’uomo possa sostituirsi a Dio, anzi a fare a meno di lui, tutte le religioni sono un forte richiamo al trascendente, e nello stesso tempo, un’ occasione per la promozione della dignità della persona, un servizio nella costruzione della pace e della giustizia.

Riguardo al dialogo con i fedeli dell’ Islam, Papa Francesco, nella Evangelii gaudium, auspica con chiarezza che, quale conseguenza dell’affetto e del rispetto che gli immigrati dell’Islam sperimentano da noi, i Paesi di tradizione islamica, a loro volta, “assicurino libertà ai cristiani affinché possano celebrare il loro culto e vivere la loro fede, tenendo conto delle libertà che i credenti dell’ Islam godono nei paesi occidentali” (EG 253).

Molto interessanti e istruttive sono le testimonianze dei monaci trappisti di Tibhirine, in Algeria, sette dei quali furono rapiti e poi uccisi nel febbraio del 1996. Fra questi il superiore della comunità, in una lettera a un suo interlocutore, ha affermato che “in verità dobbiamo accettare, in nome di Cristo, che anche l’Islam abbia qualcosa da dirci, altrimenti l’attenzione che mostriamo per l’altro resta sterile”.

In quanto poi agli episodi ben noti di fondamentalismo violento, davvero preoccupanti ed esecrabili, occorre ricordare, sono le parole stesse di Christian de Chergé, superiore della fraternità trappista, che “tutto ciò che si può commettere un po’ ovunque o dire o credere in nome di un Islam duro e incontestabilmente offensivo, io dico semplicemente che quello non è l’Islam di Dio”, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano, sottolinea Papa Francesco, “si oppongono ad ogni violenza”.

Continuiamo, quindi, con umiltà e senza improvvisazioni, anche attraverso uno studio serio e approfondito, nella ricerca appassionata della verità e della bellezza, visibili nel cuore di ogni persona e presenti in ogni autentica espressione religiosa.

Oscar Cantoni, vescovo di Crema

Crema, 31 gennaio 2015

 

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